"Chi vuole cambiare il mondo cominci da se stesso" (Sant'Ignazio di Loyola), li dove si trova, adesso!

Facciamo gli auguri "concreti" e reali a Gesù andando da qualche malato e portando la pace, da qualche povero e portando qualcosa di utile, qualche cosa da mangiare, da vestire. 

Facciamo qualche carezza e abbraccio sincero, in famiglia, tra i collegi di lavoro, di scuola, un abbraccio di cuore, a chi ne ha bisogno. 

Andiamo da Gesù nel sacramento a fargli la nostra compagnia, a consolarlo, a ringraziarlo. Possiamo farlo anche direttamente alla sua stessa persona.

Andiamo a portare la pace. Perdoniamo. Confortiamo. Offriamoci in comunione con Gesù sacramentato. Portiamo l'amore di Gesù a tutti.

"Chi vuole cambiare il mondo cominci da se stesso" (Sant'Ignazio di Loyola), li dove si trova, adesso!




Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui


Eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.



In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.

Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.



Santa Caterina Labourè - La Medaglia miracolosa di Maria Santissima Madre di Dio

(Apparizioni di Maria del 1830 a Parigi, Rue du Bac, 140)

Nella notte del 18 luglio 1830, verso le ore 23,30, S. Caterina Labouré, Figlia della Carità di S. Vincenzo De Paoli, si sentì sommessamente chiamare dai piedi del letto: "Suor Labouré! ... Suor Labouré!...". 

Si svegliò di soprassalto e vide un bimbo risplendente di luce, il suo angelo custode, che la invitava a recarsi in cappella: "Vieni!, in cappella la Madonna ti aspetta". 

La novizia non se lo fece ripetere. Si vestì e seguì la sua guida celeste. Nella cappella, la giovane suora fu condotta fino al presbiterio e qui la SS. Vergine non si fece attendere. 

Un fruscio di veste di seta ed ecco la Regina del cielo avanzare dalla parte destra e venire a sedersi sulla poltroncina, da cui il direttore, il padre Aladel, soleva tenere le sue istruzioni alle novizie. Col cuore traboccante di gioia, S. Caterina si gettò in ginocchio, giunse le mani e le posò in grembo alla Vergine Santa. 

Ebbe così inizio, tra la Mamma Celeste e l'umile suora, un colloquio durato oltre due ore. Prima di scomparire, come qualcosa che si spegne, la SS. Vergine disse a S. Caterina: "Ritornerò, figlia mia, perché ho una missione da affidarti!". 

Ad un tratto il globicino che la Madonna teneva sul cuore scomparve in alto e le sue mani si abbassarono, avvolgendo, il mondo che aveva sotto i piedi con raggi luminosi, simbolo delle grazie ottenute per noi. 

Si formò quindi, attorno alla figura della SS. Vergine, una cornice ovale con le parole della giaculatoria a caratteri d'oro: "O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te!". 

Poi il quadro sembrò voltarsi. La figura della Madonna scomparve e rifulse al centro una grande M, sormontata da una crocetta. Sotto la M brillarono i Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Attorno si stagliarono 12 fulgidissime stelle. 

La santa veggente sentì una voce che le diceva: "Fà coniare una medaglia su questo modello, le persone che la porteranno al collo con fiducia, riceveranno grandi grazie!". 

La medaglia dell'Immacolata, coniata nel 1832, fu denominata dal popolo stesso Medaglia Miracolosa per eccellenza, per il gran numero di grazie spirituali e materiali ottenute per intercessione di Maria.

La seconda apparizione ebbe luogo il 27 novembre 1830, sempre nella cappella della Casa Madre delle Figlie della Carità, mentre S. Caterina faceva la meditazione pomeridiana delle 17,30. 

Senza che nessuno se ne accorgesse, l'ormai noto fruscio di veste di seta la scosse. Con un tuffo al cuore alzò gli occhi e scorse sull'altare maggiore la Madonna. 

Aveva una veste color bianco-aurora, un manto azzurro, un velo bianco in testa ed era ritta su di una mezza sfera, avvolta da un serpente verdastro. 

All'altezza del cuore, l'Immacolata reggeva con le mani e stringeva amorosamente un altro globicino dorato, offrendolo a Dio con atteggiamento materno. 

Una voce disse alla veggente: " Questo globicino simboleggia il mondo intero ed ogni anima in particolare! ". Poi le dita della SS. Vergine si riempirono di anelli splendenti, ornati di pietre preziose che irradiavano fasci di luce verso il basso.





Non posso fare delle mie cose quello che voglio?

In questa vita Dio ci usa misericordia, e nell'altra che verrà dopo questa ci sarà il giudizio, si perchè Dio è Trinità:

Padre Creatore, che ha creato l'universo,
Signore Misericordioso, redentore che ha ristabilito la nostra condizione,
Giudice Retributore che darà a ciascuno secondo il suo amore.
 
Come agli operai della parabola dell'ultima ora spiegata da Gesù a ciascuno di noi operai al suo servizio, darà la Vita Eterna, se stesso per tutta l'eternità "perchè può fare delle sue cose quello che vuole". Dio è Amore, tratta i suoi operai con amore.

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto.

Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. - (1Gv 2,1-2)


Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.


Il primo giorno del nuovo anno si apre con un augurio, con una buona notizia. E qual è questa notizia, quella che ci porta l’evangelista Luca ? Che quelli che la religione ritiene e considera i più lontani da Dio, in realtà, per Gesù, sono i più vicini al Signore. Sentiamo quello che ci scrive l’evangelista nel capitolo 2 del suo vangelo Luca, nei versetti 16-21.

Per comprendere quello che l’evangelista ci sta dicendo, bisogna fare un passo indietro, quando i pastori, i pastori erano considerate persone impure per la loro attività, erano considerati emarginati, erano esclusi come peccatori dalla religione, perché vivevano in una maniera al di fuori della legge, non potevano certo partecipare alle funzioni del tempio o della sinagoga. 

Si credeva che quando il messia sarebbe arrivato, li avrebbe castigati, li avrebbe puniti. Ebbene quando l’Angelo del Signore, che è Dio stesso quando entra in contatto con gli uomini, si presenta loro, non li incenerisce nella sua ira, ma li avvolge della sua luce, cioè del suo amore. 

L’evangelista smentisce la dottrina tradizionale di un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi. Quando Dio si incontra con i peccatori, non li rimprovera, non li punisce, non li castiga, ma li circonda del suo amore, questo è il fatto che precede.

Allora “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Il figlio di Dio che è stato loro annunciato, non è nato in una reggia, neanche in un tempio, ma nella loro condizione, che loro conoscono.

“E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. Che cos’era stato detto loro dall’Angelo del Signore ? L’Angelo del Signore aveva comunicato loro una grande gioia per la nascita del salvatore, quindi non l’arrivo del giustiziere, quello che premiava i buoni e castigava i malvagi, ma del salvatore, e questa buona notizia sarebbe stata per tutto il popolo. 

È strano che, da parte di quelli che ascoltano, non c’è nessuna reazione di gioia di fronte questa notizia, ma soltanto sconcerto. Scrive Luca: “Tutti quelli che udivano si stupirono”, cioè si sconcertano, c’è qualcosa che non quadra, perché, nella dottrina tradizionale, Dio castiga i peccatori. 

Come fanno a dire queste persone che sono peccatori, impure, che Dio li ha circondati, li ha avvolti del suo amore ? Quindi sono sconvolti dalle cose dette loro dai pastori. Crolla quello che la religione insegnava loro di Dio: è la novità, è lo scandalo della misericordia, che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca.

“Maria, da parte sua”, quindi anche Maria si è stupita, si è sconcertata di questa novità, “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole”, esattamente esaminandole, interpretandole, il verbo adoperato dall’evangelista indica cercare il vero senso di qualcosa, “nel suo cuore”. 

Maria anche è sconcertata da questa novità, perché non corrisponde a quello che la religione ha sempre insegnato, ma lei non lo rifiuta, incomincia a pensarci, incomincia a rifletterci. E l’evangelista dà l’avvio alla crescita grande di Maria, che poi la porterà fino presso la croce del figlio. 

Maria è grande non tanto per aver dato alla luce Gesù, per esserne la madre, ma per aver avuto il coraggio di seguirlo e diventarne la discepola.

“I pastori se ne tornarono”, per comprendere quello che l’evangelista ora ci dice, che è clamoroso straordinario, sensazionale, bisogna rifarsi nella cultura dell’epoca, dove in un libro, il primo libro di Enoch, si presenta Dio nell’alto dei cieli, separato dagli uomini, attorno a lui ci sono sette angeli, chiamati gli angeli del servizio. 

Che cosa fanno questi sette angeli privilegiati che sono i più vicini a Dio ? Hanno il privilegio di glorificare e lodare Dio in continuazione. Ebbene l’evangelista ci dice che i pastori “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio”. Quelli che la religione e la società considerava i più lontani, i più esclusi da Dio, una volta che hanno sperimentato l’amore di Dio, sono i più vicini a Dio, esattamente come i sette angeli del servizio, “per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”.

Ma questo piano divino incontra però la resistenza degli uomini: la novità portata da Gesù farà fatica ad essere accolta. Allora l’evangelista ci scrive che “quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione”, vanno a circoncidere Gesù. 

Intendono fare figlio di Abramo quello che era stato annunziato come il figlio dell’Altissimo. Quindi c’è ancora l’attaccamento alla legge, alla tradizione e farà fatica lo Spirito ad entrare, a far fiorire, ma senz’altro ce la farà.

“Gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”, e poi vedremo come Gesù metterà in crisi questa coppia di genitori, perché loro si aspettano che Gesù segua le orme dei padri, invece Gesù seguirà il Padre.

Commento di Don Alberto Maggi



Auguri di Buon Anno - Il Signore ti conceda pace.


Ti benedica il Signore e ti custodisca. 
Il Signore faccia risplendere su di te il suo volto e ti faccia grazia. 
Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace. 

- Buon Anno - (Nm 6, 22-27)




Eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. (Gv 1,1-18)

  





Astro del Ciel



Astro del ciel,
pargol divin,
mite Agnello redentor,
tu che i vati da lungi sognar,
tu che angeliche voci annunziar,
luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor.

Notte d'amor,
nato è il Signor,
vien dal ciel,
nel mister,
dolce un cantico d'angeli va,
urla il bimbo dai riccioli d'or,
brillan le stelle lassù,
dormi bambino Gesù.

Astro del ciel,
pargol divin,
mite agnello redentor,
tu di stirpe regale decor,
tu virgineo, mistico fior,
luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor.

Astro del ciel,
pargol divin,
mite agnello redentor,
tu disceso a scontare l’error,
tu sol nato a parlare d’amor,
luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor.






Il Natale dei cristiani perseguitati nel mondo

di Claudia Cirami – 
La Croce quotidiano, 22 Dicembre 2016 

India, Eritrea, Nigeria, Siria, Congo. Ma anche Messico e molti altri sono i Paesi nel mondo dove il Natale del 2016, come già tanti ancora, sono accompagnati da «pianto e lamento grande». 

Stringersi a loro è un dovere d’amore per gli altri cristiani, e vanno pubblicizzate le iniziative volte a promuovere la comunione concreta e il soccorso vicendevole per i fratelli disagiati 

Sarà Natale anche per loro, tra poco. Quegli uomini e donne lontani, bambini e anziani, fratelli tutti nella fede in Cristo, che subiscono anche oggi persecuzioni e discriminazioni per religione professata o perché testimoni della novità di vita che il Vangelo reca nell’esistenza quotidiana, se abbracciato con estrema convinzione. 

Anche da questa parte del mondo si muore, è vero. Davanti ad una Chiesa, mentre sei ferma in fila alla bancarella di un mercatino. 

Non proprio per uno scontro epocale tra fedi, certo – come molti uomini di Chiesa si affannano a dire – ma per motivi che hanno a che fare anche con la politica, con l’economia. 

Eppure, ora che siamo colpiti anche davanti ad una Chiesa, anche durante una Messa – come è accaduto a padre Hamel in una parrocchia francese – ci viene forse più naturale rivolgere il pensiero anche a chi con la realtà della persecuzione religiosa è costretto a misurarsi da tempo. Come i cristiani nello Stato di Rajasthan in India. 

Pochi giorni fa, un gruppo di fedeli, mentre stava lasciando un’abitazione privata in cui – come tradizione – aveva eseguito canti di Natale, è stato picchiato in modo selvaggio, con manganelli e bastoni. 

Il motivo: la fede professata e la convinzione che facessero proselitismo (ma che proselitismo si può fare in un’abitazione privata di cattolici?). 

Come ci ha spiegato Asia News, i picchiatori, più numerosi dei fedeli, gridavano: “Bharat Mata ki Jai” (Vittoria alla madre India). I 20 fedeli raggiunti dal gruppo di aggressori erano della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Tikariya, nella diocesi Udaipur: tra loro c’era anche il parroco Stephen Rawat, alcune suore e qualche bambino. Alcuni di questi fedeli, compreso il parroco, rimangono ricoverati, mentre altri sono stati dimessi dopo essere stati medicati. L’atmosfera natalizia e festosa, portata dai canti di Natale, è finita tra botte e sangue. 

Si soffre per Gesù Cristo anche in Eritrea, altro paese ben posizionato nella triste classifica delle persecuzioni ai cristiani. 

Certe volte si viene persino arrestati per la propria fede, anche se in apparenza le confessioni cristiane, dal 2002, sono accettate dallo Stato. Questo però non vuol dire che nel paese ci sia vera libertà di professare la propria fede. Come un testimone ha raccontato a Tempi, il Natale è il momento in cui la famiglia sa di essere divisa, perché molti componenti sono fuggiti altrove per il clima pesantissimo che si respira nel paese, tanto più se si è cristiani. 

Il Bambino sta per arrivare, ma gli Eritrei hanno davvero poco da festeggiare. 

Continua anche la persecuzione in Nigeria da parte dei Fulani Herdsmen Terrorists (FHT). Non perché sia Natale, ci si attende un freno alle persecuzioni che, in questi anni, soprattutto in certe zone, sono state davvero feroci, con 12.000 cristiani uccisi dal 2006 al 2014. 

I cristiani, paradossalmente (ma non troppo, per chi sa come “funziona” la storia del sangue dei martiri) sono in crescita e questo è motivo di odio religioso (ci sono ovviamente mescolate altre motivazioni, ma il motivo religioso è uno dei principali). 

A Mosul, nella Piana di Ninive, che è stata recentemente liberata, non c’è tutta questa voglia di festa. Come ha ricordato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre Mons. Yohanna Petros Mouche, che è l’Arcivescovo siro-cattolico di Mosul (Iraq), i cristiani temono il ritorno nei loro villaggi per paura di nuove persecuzioni. 

La liberazione non è tutto, infatti: occorre qualcuno che tuteli la loro permanenza nei luoghi da cui sono dovuti fuggire e ancora questa sicurezza non è così netta. Il problema non è solo l’ISIS, ma anche certe fasce di fondamentalismo islamico. 

Aria di discriminazione religiosa anche in Indonesia. 

Ad inizio mese, una grande manifestazione di mussulmani integralisti ha chiesto l’incriminazione per blasfemia di Basuki Tjahaja Purnama, governatore cristiano della regione. Il governatore si è difeso strenuamente, anche perché la sua famiglia adottiva è musulmana: «Essere accusato di aver insultato l’Islam – ha detto in lacrime durante la prima udienza del processo – per me significa essere accusato di aver diffamato la mia famiglia musulmana». 

Nonostante durante il suo governo si fosse adoperato anche per costruire moschee, questo non è bastato – al momento – a salvarlo dalla pesantissima accusa di aver interpretato in modo blasfemo una sura del Corano. 

Situazione molto difficile anche in Congo. 

Non riguarda solo i cristiani – è un problema di transizione politica – ma anche loro ne fanno le spese, come è successo a suor Marie Claire Agano, che apparteneva alla congregazione delle Francescane di Cristo Re, uccisa il 29 Novembre, mentre era nell’ufficio di un centro di formazione professionale, di cui era responsabile, nella parrocchia Mater Dei di Bukavo. 

Il Congo soffre da tempo e proprio ieri, al termine dell’udienza, il Papa ha rivolto il suo pensiero a questo paese martoriato: «Alla luce di un recente incontro – ha detto – che ho avuto con il presidente e il vice-presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, rivolgo nuovamente un accorato appello a tutti i congolesi perché, in questo delicato momento della loro storia, siano artefici di riconciliazione e di pace. Coloro che hanno responsabilità politiche ascoltino la voce della propria coscienza, sappiano vedere le crudeli sofferenze dei loro connazionali e abbiano a cuore il bene comune. Nell’assicurare il mio sostegno e il mio affetto all’amato popolo di quel Paese, invito tutti a lasciarsi guidare dalla luce del Redentore del mondo e prego affinché il Natale del Signore apra cammini di speranza». 

Non possiamo poi dimenticare anche le violenze che in questi mesi sono state perpetrate nei confronti dei sacerdoti messicani, di cui più volte ci siamo occupati in questi mesi. 

Tra uccisi e torturati, per aver denunciato le violenze dei narcotrafficanti, più volte è stato un accanirsi feroce nei confronti di uomini fedeli al mandato che Cristo ha dato loro. 

La Conferenza Episcopale Messicana ha chiesto spesso preghiere per questa situazione sociale sempre più disordinata. 

Anche in questo caso, la professione di fede non è un elemento determinante: non perseguitati come fedeli a Cristo, ma certo come testimoni di giustizia e di speranza. 

Il pensiero, in questo Natale, va allora a tutti questi luoghi lontani geograficamente ma estremamente vicini al nostro sentire, perché lì vivono uomini e donne che amano Cristo come noi e il cui desiderio sarebbe quello, come il nostro, che il Verbo di Dio incarnato, che si fa contemplare in una mangiatoia come un bambino, trasformi il cuore di chi perseguitata e accarezzi quello di chi è perseguitato. 

A questi fratelli va la nostra preghiera, ricordando inoltre che possiamo sostenerli in vario modo, anche economicamente, con le tante iniziative che le varie organizzazioni cattoliche approntano tutto l’anno. 

Che sia un Natale che non ci trovi con le mani vuote di preghiera e di aiuto. 





Buon Natale

Auguri di Buon Natale
Celebriamo la nascita di Gesù con fede.

Celebriamo il Natale nell'amore alla povertà, nella mitezza, nella sobrietà, nella umiltà, nella benevolenza, nella castità, nella devozione e nell'amore al prossimo.



















San Bernardo di Clairvaux - Sermoni per l’Avvento - SERMONE VII

Della triplice utilità

1. Se celebriamo con devozione l’Avvento del Signore, facciamo il nostro interesse: Gesù infatti non solo è venuto a noi, ma anche per noi, Lui che non ha bisogno dei nostri beni (Sal 16 (15), 2). Ma la grandezza della nostra indigenza mette maggiormente in luce la immensa sua degnazione. E non solo la gravità della malattia apparisce dal prezzo della medicina, ma anche i molti aspetti della salute si comprendono dalla moltitudine dei rimedi. Infatti, perché ci sono varie specie di grazie (1 Cor 12, 4), se non si vede alcuna diversità di bisogni? Certo, è difficile parlare in un solo sermone di tutte queste necessità; ma me ne vengono in mente tre, che sono in certo qual modo le principali, e sono comuni a tutti. Non c’è infatti nessuno tra noi che non abbia bisogno in questa vita di consiglio, di aiuto e di sostegno. Tutto il genere umano è soggetto a una triplice miseria, e quanti siamo giacenti nella regione delle ombre morte (Is 9, 1), in questo corpo infermo, in questo luogo di tentazione, se facciamo attenzione, ci accorgiamo di soffrire miseramente di questo triplice inconveniente. Siamo infatti facilmente sedotti, deboli nell’operare e fragili a resistere. Se vogliamo discernere tra il bene e il male (1 Re 3, 9), ci inganniamo; se tentiamo di fare il bene (Gal 6, 9) veniamo meno; se ci sforziamo di resistere al male (Ef 6, 13) cediamo e restiamo vinti.

2. È necessaria pertanto la venuta del Salvatore, necessaria agli uomini che si trovano in questo stato la presenza di Cristo. E voglia Dio che egli venga in modo che, abitando in noi per la fede (Ef 3, 17), per sua grandissima degnazione, illumini la nostra cecità, e stando con noi (Lc 24, 29) aiuti la nostra infermità, e stando per noi (Rm 8, 26) protegga e difenda la nostra fragilità. Se infatti egli sarà in noi, chi ci ingannerà? Se egli sarà con noi, di che cosa non saremo capaci in colui che ci conforta (Fil 4, 13)? Se egli sarà per noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8, 31). Egli è un fedele consigliere, che né può ingannare, né ingannarci; è un aiutante forte (1 Mac 3, 15) che non soffre stanchezza; è un patrono efficace, capace di mettere subito lo stesso Satana sotto i nostri piedi (Rm 16, 20), e frantumare tutte le sue armi. Egli è infatti la Sapienza di Dio (1 Cor 1, 21.24 ecc.), che è sempre pronta a istruire gli ignoranti; egli è la Forza di Dio (Rm 1, 16; 1 Cor 1, 18 ecc.), per la quale è facile ritemprare chi sta per venire meno, e liberare chi è in pericolo. Corriamo dunque, fratelli miei, ad un così grande maestro ogni qualvolta dobbiamo deliberare qualche cosa; in ogni operazione invochiamo un così forte coadiutore; a questo così valoroso difensore in ogni lotta affidiamo le nostre anime, a lui che per questo è venuto nel mondo (Gv 18, 37; 3, 19), perché, abitando tra gli uomini (Sal 78 (77), 60), con gli uomini e per gli uomini, illuminasse le nostre tenebre (Sal 18 (17), 29), alleggerisse le nostre fatiche, e dai pericoli ci liberasse.




San Bernardo di Clairvaux - Sermoni per l’Avvento - SERMONE VI

Il triplice avvento e la risurrezione della carne

1. Voglio, fratelli, che voi non ignoriate il tempo della vostra visita (Lc 19, 44), ma neanche ignoriate ciò che in questo tempo viene visitato in voi. Questo è il tempo assegnato alle anime, non ai corpi, perché l’anima è cosa molto più eccellente del corpo, e per questo deve essere naturalmente per prima oggetto della nostra sollecitudine. Essa per prima dev’essere restaurata, essendo stata la prima a cadere. L’anima infatti, corrotta per la colpa, fece sì che anche il corpo come pena fosse assoggettato alla corruzione. E poi, se vogliamo essere trovati membra di Cristo (1 Cor 6, 15), dobbiamo certamente seguire il nostro Capo, cioè prima dobbiamo essere solleciti circa le anime, per le quali egli è già venuto, e alle quali cercò per prima cosa di portare rimedio. Differiamo invece la cura del corpo, riservandola a quel giorno in cui verrà appunto a riformare il corpo, come ricorda l’Apostolo dove dice: Aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro povero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21). Nella prima venuta, Giovanni Battista come un araldo, anzi, vero araldo di lui, grida: Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (Gv 1, 29).

Non dice le malattie del corpo, non le molestie della carne, ma il peccato, che è malattia dell’anima, che è corruzione della mente. Ecco colui che toglie i peccati del mondo. Di dove li toglie? Dalla mano, dall’occhio, dal collo, dalla carne, insomma, in cui è profondamente infisso.

2. Toglie i peccati dalle mani, cancellando i peccati commessi, li toglie dagli occhi, purificando l’intenzione del cuore; li toglie dal collo, allontanando la violenta dominazione, come sta scritto: Hai spezzato il giogo che l’opprimeva, come al tempo di Madian (Is 9, 4); e altrove: Marcirà il giogo per il grasso (Is 10, 27). E l’Apostolo dice: Non regni il peccato nel vostro corpo mortale (Rm 6, 12). Altrove ancora dice lo stesso Apostolo: So che non c’è in me il bene, cioè, nella mia carne (Rm 7, 18); e altrove: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7, 24). Sapeva infatti che non sarebbe liberato da quella pessima radice, che è infissa nella carne, la legge del peccato che è nelle nostre membra (Rm 7, 23) prima di essere sciolto dallo stesso corpo; per questo bramava di essere sciolto da esso ed essere con Cristo (Fil 1, 23), sapendo che il peccato che ci separa da Dio non potrà scomparire del tutto fino a che siamo liberati dal corpo (Rm 7, 24). Avete sentito di quel tale che il Signore liberò dal demonio, come uscì questi da lui straziandolo e gridando (Mc 1, 26). Così vi dico, quella specie di peccato che tanto spesso ci reca molestia (Mc 9, 28), parlo della concupiscenza e delle tendenze cattive, deve essere certamente repressa, e lo possiamo fare con la grazia di Dio, di modo che non regni in noi, né facciamo delle nostre membra delle armi di iniquità (Rm 6, 12-13), e non vi sia dannazione per quelli che sono in Cristo Gesù (Rm 8, 1); ma non può essere sradicata se non nella morte, quando sentiamo lo strazio della separazione dell’anima dal corpo.

3. Ecco per che cosa è venuto Cristo, ecco ciò a cui deve mirare il cristiano. Perciò, o corpo, non voler anticipare i tempi: puoi infatti impedire la salvezza dell’anima, ma non è in tuo potere operare la salvezza di te stesso. Ogni cosa ha il suo tempo (Qo 3, 1). Lascia che ora l’anima lavori per sé, anzi, cerca anche di collaborare con essa, perché se con lei soffri, con lei regnerai (Rm 8, 17; 2 Tm 2, 12). Quanto metti ostacoli alla sua riparazione, altrettanto impedirai la tua; non potrai infatti essere trasformato fino a che Dio veda in essa riformata la sua immagine. Hai un nobile ospite, o carne, molto nobile, e tutta la tua salvezza dipende da quella di lui. Rendi onore a un tanto ospite. Tu abiti infatti nella tua regione, l’anima invece è esule ed è ospitata presso di te (Mi 4, 10). Pensa un po’: se un povero contadino venisse richiesto di dare ospitalità ad un uomo nobile e potente, non si adatterebbe volentieri a sistemare se stesso in un angolo di casa sua, in un sottoscala, o perfino nella cenere, per cedere all’ospite il posto migliore, come si conviene? Anche tu, pertanto, fa’ ugualmente (Lc 10, 37). Non aver paura dei cattivi trattamenti o delle molestie, purché il tuo ospite possa abitare presso di te con onore. È un onore per te mostrarti per il momento a causa di lui tu stesso senza onore.

4. E per non disprezzare o tenere in poco conto il tuo ospite, per il fatto che ti appare come pellegrino e straniero (1 Cr 29, 15; Sal 39 (38), 13 ecc.), poni mente con diligenza a quanto ti viene donato dalla presenza di questo ospite (Pr 23, 1). È lui infatti che dà agli occhi la vista, l’udito agli orecchi; è lui che fa parlare la lingua, dà al palato il gusto, il movimento a tutte le membra (Mt 11, 5). Se c’è vita in te, se c’è senso, se c’è bellezza, devi riconoscerlo come un beneficio di questo ospite. Del resto, la sua partenza mette in evidenza quello che la sua presenza produceva. Non appena infatti l’anima esce dal corpo, la lingua diventa muta, gli occhi non vedono più, le orecchie non sentono, tutto il corpo diventa rigido e freddo, il volto diventa cereo. In breve tutto il corpo va in putrefazione ed emette fetore, e tutta la sua bellezza si risolve in marciume. Perché dunque per un qualsiasi diletto passeggero contristi e danneggi questo ospite, senza del quale ti è impossibile sentire quello stesso piacere? Inoltre, se tanti vantaggi ti procura quest’anima, mentre è esule, e cacciata dalla faccia del Signore a causa della colpa (Gen 3, 8; 4, 16 ecc.), quanto ti gioverà una volta riconciliata con Dio? Non volere, o corpo, impedire quella riconciliazione: da essa ne verrà grande gloria per te. Con pazienza, volentieri anzi, sii disposto a tutto; non essere restio a tutto ciò che possa sembrare utile a questa riconciliazione. Di’ al tuo ospite: «Il tuo Signore si ricorderà di te, e ti restituirà nel tuo primitivo grado, e tu ricordati di me» (Gen 40, 13-14).

5. Certamente infatti si ricorderà di te per il tuo bene, se lo avrai servito bene; e quando sarà giunto al suo Signore, gli parlerà di te (Gen 40, 14), e si interesserà a tuo favore dicendo: «Quando il tuo servo era in esilio per espiare la sua colpa, un certo povero, presso il quale fui ospite (At 21, 16), mi usò misericordia, e ora ti prego, o Signore mio, di ricompensarlo per me (Sal 138 (137), 8). Per mio bene infatti egli ha sacrificato prima tutti i suoi averi, e poi anche se stesso, non risparmiando se stesso per me, sottoponendosi a molti digiuni, a frequenti fatiche, a veglie senza misura, soffrendo la fame, la sete, e anche il freddo e la nudità» (2 Cor 11, 23 e 27). E allora? Di sicuro non mentirà la Scrittura che dice: Farà la volontà di coloro che lo temono, ed esaudirà la loro supplica (Sal 145 (144), 19). Oh se potessi gustare questa dolcezza (1 Pt 2, 3), se potessi apprezzare questa gloria! Dirò infatti cose meravigliose, ma vere e certe, ai fedeli: lo stesso Signore degli eserciti (Rm 9, 29 ecc.), il Signore delle Schiere e Re della gloria (Sal 24 (23), 10), egli personalmente scenderà a trasformare i nostri corpi e a configurarli al suo corpo glorioso (Fil 3, 21). Quanto grande sarà quella gloria, quanto ineffabile quella esultanza, quando il Creatore dell’universo, che prima era venuto umile e nascosto per giustificare le anime, per glorificare te, o misera carne, verrà sublime e manifesto (At 2, 20), non nell’infermità, ma nella sua gloria e maestà (Mc 8, 38; Lc 9, 26 ecc.)! Chi potrà farsi un’idea del giorno di quell’avvento (Mal 3, 2), quando discenderà con pienezza di luce, preceduto dagli angeli che, con il suono della tromba (1 Ts 4, 15-16) faranno risorgere il povero corpo dalla polvere, e lo porteranno rapito incontro a Cristo nell’aria?

6. Fino a quando, dunque, la misera, insipiente, cieca e del tutto stupida carne va dietro alle cose transitorie e cerca consolazioni caduche, anzi, desolazioni, più che consolazioni, rischiando di venire condannata come indegna di quella gloria, e destinata piuttosto ad essere tormentata per l’eternità da indicibile pena? Non così, ve ne scongiuro, fratelli miei, non sia così (Sal 1, 4); ché anzi, si rallegri in queste considerazioni l’anima nostra (Sal 35 (34), 9), e la stessa nostra carne riposi nella speranza (Sal 16 (15), 9): Aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale la trasfigurerà, per conformarla al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21). Così infatti dice il Profeta: Di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne (Sal 63 (62), 2). L’anima cioè del Profeta bramava il primo avvento, con il quale sapeva che sarebbe stata redenta; ma molto più il suo corpo desiderava l’ultimo avvento e la sua glorificazione. Allora infatti saranno realizzati i nostri desideri, e tutta la terra sarà piena della maestà del Signore (Sal 72 (71), 19; Is 6, 3). A questa gloria, a questa felicità, a questa pace che sorpassa ogni intendimento (Fil 4, 7) ci conduca per la sua misericordia, e non ci confonda nella nostra aspettativa (Sal 119 (118), 116), egli stesso, il Salvatore che aspettiamo (Fil 3, 20) Gesù Cristo nostro Signore che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli (Rm 9, 5).





San Bernardo di Clairvaux - Sermoni per l’Avvento - SERMONE V

Dell’avvento di mezzo e della triplice innovazione

1. Abbiamo detto nel sermone precedente che coloro che hanno argentato le loro ali (Sal 68 (67), 14) devono dormire tra i due avventi, ma non abbiamo detto precisamente dove. C’è infatti un terzo avvento e che sta tra gli altri due, nel quale dormono quelli che lo conoscono. Il primo infatti e l’ultimo avvento sono manifesti, non così quello di mezzo. Nel primo Cristo fu veduto sulla terra e visse in mezzo agli uomini (Bar 3, 38), e allora, come egli stesso dice, lo videro e lo odiarono (Gv 15, 24). Nell’ultimo ogni uomo vedrà la salvezza del nostro Dio (Is 40, 5), e volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37). L’avvento che sta in mezzo è occulto, e i soli eletti lo vedono in sé e si salvano le loro anime (1 Pt 3, 20). Nel primo avvento dunque Cristo venne nella debolezza della carne (1 Gv 4, 2), in questo di mezzo viene nella forza dello spirito (Lc 1, 17), nell’ultimo verrà in gloria e maestà (Mc 8, 38; Lc 9, 26 ecc.). Attraverso la virtù infatti si perviene alla gloria, perché il Signore degli eserciti è il Re della gloria, (Sal 24 (23), 10) e altrove dice lo stesso Profeta: Per contemplare la tua potenza e la tua gloria (Sal 63 (62), 3). Questo avvento di mezzo è in certo qual modo una via per cui dal primo si giunge all’ultimo: nel primo Cristo è stato nostra redenzione (Rm 3, 24), nell’ultimo apparirà come vita nostra (Col 3, 4), in questo di mezzo, perché dormiamo tra gli altri due (Sal 68 (67), 14), è nostro riposo e consolazione (2 Cor 1, 5).

2. Ma perché non sembri a qualcuno che stiamo inventando le cose che diciamo circa questo avvento intermedio, sentite Cristo stesso: Se qualcuno mi ama, dice, osserverà le mie parole, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui (Gv 14, 23). Ma che cosa vuol dire: Se uno mi ama osserverà le mie parole? Ho letto altrove: Chi teme Dio farà il bene (Sir 15, 1); ma sento che è detto di più di colui che ama: egli conserverà le parole di Cristo. Dove si devono conservare? Certamente nel cuore, come dice il Profeta: Nel mio cuore ho nascosto le tue parole, per non peccare contro di te (Sal 119 (118), 11). Ma come conservarle nel cuore? Basta conservarle nella memoria? Ma a coloro che le conservano così l’Apostolo dice che la scienza gonfia (1 Cor 8, 2). E poi la memoria è facilmente soggetta alla dimenticanza. Conserva le parole del Signore (Gv 8, 51; 8, 52 ecc.) come meglio puoi conservare il cibo del tuo corpo. Esse infatti sono pane vivo (Gv 6, 41) e cibo della mente. Il pane terreno, fino a che è nella madia, può essere preso da un ladro, corroso dai topi, e con il tempo guastarsi. Quando invece l’hai mangiato, non temi più nulla di tutto questo. Custodisci così la parola di Dio: Beati infatti sono coloro che la custodiscono (Lc 11, 28). Sia dunque immessa in certo modo nelle viscere dell’anima tua, passi nei tuoi affetti e nei tuoi costumi. Mangia il bene, e se ne impinguerà con piacere l’anima tua (Is 55, 2). Non dimenticare di mangiare il tuo pane (Sal 102 (101), 5), perché non si inaridisca il tuo cuore, ma l’anima tua se ne sazi come a lauto convito (Sal 63 (62), 6).

3. Se conserverai in questa maniera la parola di Dio, certamente essa conserverà te. Verrà infatti a te il Figlio con il Padre (Gv 14, 23), verrà il grande profeta (Lc 7, 16), il quale rinnoverà Gerusalemme, ed egli fa nuove tutte le cose (Ap 21, 5). Questo farà questo avvento, affinché, come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo anche l’immagine del celeste (1 Cor 15, 49). Come il vecchio Adamo si è diffuso in tutto l’uomo e lo ha tutto infettato, così ora tutto venga da Cristo che tutto l’ha creato, tutto l’ha redento, tutto lo glorificherà, e che ha sanato tutto l’uomo nel giorno di sabato (Gv 7, 23). Vi era prima in noi l’uomo vecchio (Rm 6, 6); egli era prevaricatore in noi, sia nella mano che nella bocca e nel cuore (Rm 10, 8); nella mano doppiamente, per azioni illecite e vergognose, nel cuore pure per i desideri carnali (Gal 5, 16; Ef 2, 3 ecc.) e la bramosia di gloria temporale. Ora invece, se vi è in lui una nuova creatura, le cose vecchie sono passate (2 Cor 5, 17), e invece dell’azione illecita nella mano c’è l’innocenza, e invece delle cose turpi c’è la continenza. Nella bocca (Rm 10, 8-10), invece dell’arroganza (1 Sam 2, 3) c’è la confessione, invece della detrazione, parole edificanti, perché scompaiano le cose vecchie dalla nostra bocca. Nel cuore poi, invece dei desideri della carne, vi è la carità, al posto della gloria temporale, l’umiltà. E vedi se in queste tre cose (mani, bocca, cuore) gli eletti singoli ricevano veramente Cristo, Verbo di Dio. Ad essi è detto infatti: Ponimi come sigillo sul tuo braccio e sul tuo cuore (Ct 8, 6); e altrove: Vicina è la parola nella tua bocca e nel tuo cuore (Rm 10, 8).





San Bernardo di Clairvaux - Sermoni per l’Avvento - SERMONE IV

Il duplice avvento e le penne argentate

1. È cosa degna, fratelli, che voi celebriate con tutta devozione l’avvento del Signore, godendo per così grande consolazione, stupefatti per tanta degnazione, infiammati da tanta carità. E non pensate solo al primo avvento nel quale è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19, 10), ma anche al secondo, quando verrà e ci prenderà con sé. Voglia Iddio che meditiate costantemente su queste due venute, ruminando nei vostri cuori i benefici del primo e le promesse del secondo. Voglia Iddio che dormiate tra le due venute (Sal 68 (67), 14)! Queste sono infatti le due braccia dello Sposo, tra le quali la sposa dormiva e diceva: La sua sinistra è sotto il mio capo, e la sua destra mi abbraccerà (Ct 2, 6). Nella sinistra infatti, come leggiamo altrove, è significata la ricchezza e la gloria, nella destra la vita lunga. Nella sua sinistra, è detto, ricchezze e gloria (Pr 3, 16). Udite, figli di Adamo, gente avara e ambiziosa: perché affannarvi per procurarvi ricchezze terrene e gloria temporale che non sono né vere, né vostre? L’oro e l’argento (At 3, 6) non sono forse terra gialla e bianca, che solo l’errore degli uomini fa, o piuttosto considera preziosa? E se queste son cose vostre, portatevele con voi! Ma l’uomo quando muore con sé non porta nulla, né scende con lui la sua gloria (Sal 49 (48), 17-18).

2. Le vere ricchezze, dunque, non sono i beni di questo mondo, ma le virtù, che la coscienza porta con sé per essere ricca in eterno. Anche della gloria dice l’Apostolo: Questa è la nostra gloria: la testimonianza della nostra coscienza (2 Cor 1, 12). Questa sì è vera gloria, che viene dallo Spirito di verità. Infatti lo stesso spirito rende testimonianza al nostro spirito che siamo figli di Dio (Gv 14, 17; 15, 26; Rm 8, 16). La gloria invece che ricevono gli uni dagli altri coloro che non aspirano a quella che viene solo da Dio (Gv 5, 44), è vana, perché vani sono i figli degli uomini (Sal 62 (61), 10). Sei sciocco tu che metti la tua mercede in sacco bucato (Ag 1, 6), che poni il tuo tesoro sulla bocca di un altro; non sai che questa è una porta che non si chiude (Gen 7, 16), né ha battenti? Come sono più saggi coloro che si custodiscono essi stessi il loro tesoro (Mt 13, 44) e non lo affidano ad altri! Però, lo potranno conservare sempre? Lo terranno sempre nascosto? Verrà il tempo in cui saranno manifestati i segreti del cuore (1 Cor 4, 5; Sal 44 (43), 22), e quelle cose di cui si è fatta ostentazione non compariranno affatto. Per questo, all’arrivo del Signore (Mt 25, 6), le lampade delle vergini stolte si spengono (Mt 25, 8), e il Signore dice di non conoscere (Mt 25, 12) coloro che già hanno ricevuto la loro mercede (Mt 6, 16). Perciò vi dico, carissimi, se abbiamo un po’ di bene, è utile per noi nasconderlo più che non ostentarlo, come fanno i poveri quando chiedono l’elemosina; essi non mostrano abiti preziosi, ma membra seminude, ovvero ulcere, se ne hanno, per indurre più facilmente l’animo di chi vede alla pietà. Questa regola l’ha osservata il pubblicano del Vangelo molto meglio del fariseo, e perciò discese giustificato a differenza di quello (Lc 18, 14).

3. È giunto il momento, fratelli, in cui ha inizio il giudizio a partire dalla casa di Dio... E quale sarà la fine di coloro che rifiutano di obbedire al Vangelo (1 Pt 4, 17)? Quale giudizio per coloro che in questo giudizio non risorgono (Sal 1, 5)? Tutti quelli infatti che non si preoccupano di giudicarsi in quel giudizio che si compie adesso, nel quale il principe di questo mondo viene cacciato fuori (Gv 12, 31), aspettino il giudice, o piuttosto, temano il suo arrivo; da lui saranno con il loro stesso principe anch’essi cacciati fuori. Noi invece, se a dovere ci giudichiamo adesso, con sicurezza, aspettiamo come Salvatore il nostro Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21). Allora risplenderanno i giusti (Mt 13, 43), così che potranno vedere i dotti e gli ignoranti (1 Cr 25, 8): splenderanno infatti come il sole nel regno del Padre loro (Mt 13, 43). E sarà come sette volte lo splendore del sole (Is 30, 26), cioè come la luce di sette giorni. 

4. Venendo infatti il Salvatore, trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21), a condizione tuttavia che prima sia trasformato il cuore, e conformato al suo umile cuore. Per questo anche diceva: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore (Mt 11, 29). Considera come da queste parole risulti che l’umiltà è duplice: quella di cognizione, e quella della volontà, che qui è detta di cuore. Con la prima conosciamo che siamo nulla, e questa la impariamo da noi stessi e dalla nostra debolezza; con la seconda noi calpestiamo la gloria del mondo, e questa la impariamo da Cristo, il quale ha annientato se stesso, prendendo la forma di schiavo (Fil 2, 7), il quale, anche cercato per essere fatto re, fuggì (Gv 6, 15); chiamato invece a subire tante umilianti pene e l’ignominioso supplizio della croce, spontaneamente offrì se stesso (Gv 18, 4; Eb 9, 14). Se dunque vogliamo dormire tra i due avventi, siano argentate le nostre ali (Sal 68 (67), 14), vale a dire, imitiamo nella nostra condotta quelle virtù che Cristo, presente nella sua carne, ci ha raccomandato con le parole e con l’esempio. Nell’argento infatti viene con ragione indicata la sua umanità, come nell’oro la divinità.

5. Pertanto, ogni nostra virtù non è virtù vera se si scosta da quel modello (che ci ha lasciato Cristo), e ogni nostra ala non serve a nulla (Mt 5, 13) se non è argentata. È grande l’ala della povertà, con la quale si vola in breve tempo al regno dei cieli (Mt 3, 2; 4, 17). Nelle altre virtù che seguono, quello che è promesso è indicato al futuro; alla povertà, più che promesso, il premio viene dato. Perciò viene proclamato al presente che di essi (i poveri) è il regno dei cieli (Mt 5, 3), mentre per le altre virtù si dice erediteranno, saranno consolati (Mt 5, 4.5) e cose simili. Ma vediamo alcuni poveri che, se avessero la vera povertà, non sarebbero così pusillanimi e tristi, dal momento che sono re, e re del cielo. Ma questi sono quei tali che vogliono essere poveri, a condizione però che nulla loro manchi, e amano la povertà in maniera da non sperimentare l’indigenza di nulla. Vi sono degli altri miti, ma fino a che non si dice o si fa qualche cosa che a loro non piaccia; si potrà poi chiaramente vedere quanto siano lontani dalla vera mansuetudine appena nasca un’occasione (di contrarietà). In qual modo possederà l’eredità (che le è promessa), quella mansuetudine che viene meno prima che arrivi tale eredità? Vedo degli altri che piangono; ma se quelle lacrime uscissero veramente dal cuore, non si cambierebbero così facilmente in riso. Quando invece le parole oziose e scurrili escono più abbondanti di quanto prima non scorressero le lacrime, dubito che quelle lacrime non siano di quelle alle quali è promessa la divina consolazione, mentre dopo di esse si cerca con tanta facilità una consolazione vile. Altri sono pieni di zelo così ardente contro i peccati altrui, che sembrerebbe abbiano fame e sete di giustizia (Mt 5, 6), se essi stessi condannassero con la stessa severità i loro propri peccati; ma invece c’è in essi peso e peso, che è un abominio presso il Signore (Pr 20, 23). Ardono infatti contro gli altri con impudente severità, mentre accarezzano se stessi con insipiente e inutile indulgenza.

6. Vi sono altri generosi nell’elargire (Mt 5, 7) ai poveri le cose che non sono loro, che si scandalizzano perché non si dà a tutti con abbondanza, in modo però che essi non ne risentano affatto; se fossero misericordiosi, dovrebbero largheggiare delle cose loro; e non potendolo fare con beni terreni, concedere con buona volontà il perdono a chi li avesse offesi; dovrebbero dare un segno benevolo, una buona parola, che val meglio di un dono eccellente (Sir 18, 17 come nella Reg. S. Benedetto c. 31, 14), onde spingere le loro menti al ravvedimento (Lam 2, 14). Infine, se fossero misericordiosi, darebbero la loro compassione e la loro orazione per essi e per tutti quelli che sanno essere in peccato. Diversamente la loro misericordia è nulla, e non merita nessuna misericordia. Così vi sono di quelli che confessano i loro peccati in modo tale da far pensare che abbiano veramente desiderio di purificare il loro cuore (Mt 5, 8) — con la confessione infatti viene tutto lavato —, sennonché quello che essi spontaneamente dicono agli altri, non sopportano che venga loro detto da altri; se desiderassero veramente di purificarsi, come danno a vedere, non si irriterebbero, ma sarebbero riconoscenti a coloro che fanno vedere ad essi le loro macchie. Vi sono anche altri che, se vedono uno anche solo leggermente turbato, si mostrano molto solleciti per riportarlo in pace; e sembrerebbero pacifici (Mt 5, 9) se non si vedesse che essi sono i più difficili ad essere calmati quando si è detta una parola o si è compiuta un’azione contro di loro; se amassero invece davvero la pace, non v’è dubbio che la cercherebbero per se stessi.

7. Argentiamo dunque le nostre ali (Sal 68 (67), 14) applicandoci a imitare Cristo, a guisa dei santi martiri i quali lavarono le loro vesti nella sua passione (Ap 7, 14). Imitiamo, per quanto ci è possibile, Lui che ha talmente amato la povertà che non ha avuto dove reclinare il capo (Lc 9, 58), sebbene nella sua mano fossero i confini della terra (Sal 95 (94), 4), a tal punto che i discepoli che lo seguivano, spinti dalla fame, sgranavano, come si legge nel Vangelo, le spighe nella mano, passando per i campi biondeggianti (Lc 6, 1), e che come pecora fu condotto al macello, e come agnello senza voce innanzi a chi lo tosa non apri la sua bocca (At 8, 32); che leggiamo aver pianto su Lazzaro (Gv 11, 35), sulla città (santa) e che passasse le notti a pregare (Lc 19, 41; 6, 12), mai che abbia riso o scherzato, il quale ebbe tale fame della giustizia (Mt 5, 6) che, non avendo l’uomo di che pagare con il suo, impose a se stesso una così grande soddisfazione per i nostri peccati (1 Cor 15, 3; Gal 1, 4 ecc.). Così sulla croce non aveva altra sete che della giustizia (Mt 5, 6), lui che non esitò a morire per i nemici e pregò per i suoi crocifissori (Lc 23, 34), che non fece peccato (1 Pt 2, 22), e si sentì accusare con pazienza dagli altri, e che per riconciliare i peccatori si sottopose a tante sofferenze.





Libro III - Cap.59 - Porre ogni nostra speranza e ogni fiducia soltanto in Dio



O Signore, che cosa è mai la fiducia che ho in questa vita. Quale è il mio più grande conforto, tra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei forse tu, o Signore, mio Dio di infinita misericordia? Dove mai ho avuto bene, senza di te; quando mai ho avuto male con te? 

Voglio essere povero per te, piuttosto che ricco senza di te; voglio restare pellegrino su questa terra, con te, piuttosto che possedere il cielo, senza di te. Giacché dove sei tu, là è cielo; e dove tu non sei, là è morte ed inferno. 

Sei tu il mio desiderio ultimo; perciò io ti debbo seguire, con gemiti e lacrime ed alte, commosse preghiere. 

In una parola, non posso avere piena fiducia in alcuno che mi venga in aiuto nelle varie necessità, fuori che in te soltanto, mio Dio. "La mia speranza" e la mia fiducia sei tu (Sal 141,6); tu, il mio consolatore, il più fedele in ogni momento. 

"Ognuno va cercando ciò che a lui giova" (Fil 2,21); e tu, o Dio, ti prefiggi soltanto la mia salvezza e tutto volgi in bene per me. Pur quando mi esponi a varie tentazioni e avversità, tutto questo tu lo vuoi per il mio bene, giacché quelli che tu ami usi metterli in vario modo alla prova; e in questa prova io debbo amare e ringraziare, non meno che quando tu mi colmi di celesti consolazioni.

In te, dunque, o Signore Dio, ripongo tutta la mia speranza; in te cerco il mio rifugio; in te rimetto tutte le mie tribolazioni e le mie difficoltà, ché tutto trovo debole e insicuro ciò che io vedo fuori di te. 

Non mi gioveranno, infatti, i molti amici; non mi saranno di aiuto coloro che vengono a soccorrermi, per quanto forti; non mi potranno dare un parere utile i prudenti, per quanto saggi; non mi potranno dare conforto i libri dei sapienti; non ci sarà una preziosa ricchezza che mi possa dare libertà; non ci sarà un luogo ameno e raccolto che mi possa dare sicurezza, se non sarai presente tu ad aiutarmi, a confortarmi, a consolarmi; se non sarai presente tu ad ammaestrarmi e a proteggermi. 

In verità, tutte le cose che sembrano fatte per dare pace e felicità non sono nulla e non danno realmente felicità alcuna, se non ci sei tu. Tu sei, dunque, l'ultimo termine di ogni bene, il supremo senso della vita, la massima profondità di ogni parola. Sperare in te sopra ogni cosa è il maggior conforto di chi si è posto al tuo servizio. 

"A te sono rivolti i miei occhi (Sal 140,80); in te confido, o mio Dio (Sal 24,1s), padre di misericordia" (2Cor 1,3). Benedici e santifica, con la tua celeste benedizione, l'anima mia, affinché essa sia fatta tua santa dimora e sede della eterna gloria; e nulla si trovi in questo tempio della tua grandezza, che offenda l'occhio della tua maestà. 

Guarda a me, nella tua immensa bontà e nell'abbondanza della tua misericordia; ascolta la preghiera del tuo servo, che va peregrinando in questa terra oscura di morte. Proteggi e custodisci l'anima di questo tuo piccolo servo, nei tanti pericoli della vita di quaggiù; dirigila con la tua grazia per la via della pace, alla patria della eterna luce. Amen.


E' volontà del Padre che neanche uno si perda



Che cosa vi pare? 

Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? 

In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 

Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.



San Bernardo di Clairvaux - Sermoni per l’Avvento - SERMONE III

Le sette colonne

1. Nell’Avvento del Signore che celebriamo, se considero la persona di colui che viene, non riesco a farmi un’idea dell’eccellenza della sua maestà. Se guardo quelli ai quali è venuto, rimango spaventato dalla grandezza della degnazione. Certamente gli Angeli sono pieni di stupore per la novità, in quanto vedono al di sotto di sé colui che sempre adorano sopra di sé, e manifestamente ormai salgono e scendono al Figlio dell’uomo (Gv 1, 51). Se considero a fare che cosa egli sia venuto, abbraccio, per quanto posso, l’ampiezza inestimabile della sua carità. Se penso al modo, constato l’esaltazione della condizione umana. Viene infatti il Creatore e Signore di tutto il creato, viene agli uomini, viene per gli uomini, viene uomo. Ma dirà qualcuno: «Come mai si dice che sia venuto, lui che è sempre stato dappertutto? Era nel mondo, e il mondo per lui è stato fatto, e il mondo non lo conobbe» (Gv 1, 10). Non è dunque venuto, lui che era presente, ma è apparso, lui che era nascosto. Perciò ha preso la natura umana nella quale poter essere conosciuto, lui che abita la luce inaccessibile (1 Tm 6, 16). E veramente non era cosa ingloriosa apparire nella sua somiglianza che aveva fatto all’inizio (Mt 19, 4), né indegno di Dio mostrarsi nella sua somiglianza (Gen 1, 26) a coloro che non avrebbero potuto conoscerlo nella sua
sostanza, affinché, lui che aveva fatto l’uomo ad immagine e somiglianza sua, egli stesso apparisse agli uomini come uomo.

2. La Chiesa intera dunque celebra una volta all’anno la solennità di questo avvento di tanta maestà, di tanta umiltà, di tanta carità, di tanta nostra glorificazione. Ma volesse Dio che questa celebrazione si facesse sì una sola volta, ma che (nei suoi effetti) durasse sempre. Questo sarebbe molto giusto. Quanta incongruenza infatti c’è nel fatto che, dopo l’avvento di un così grande Re, gli uomini vogliano od osino occuparsi in altri svariati affari, mentre piuttosto, lasciato tutto il resto, dovrebbero occuparsi unicamente nel culto di lui, e, in sua presenza, non ricordarsi di tutte le altre cose. Ma non a tutti si possono applicare le parole del Profeta: Erutteranno il ricordo della tua bontà immensa (Sal 145 (144), 7), in quanto non tutti fanno di questo ricordo il loro cibo. In verità, nessuno può eruttare quello che non ha gustato, e neppure se l’ha solamente gustato. Il rutto non può procedere se non dalla pienezza e dalla sazietà. Perciò coloro che hanno una mente e una vita secolare, anche se celebrano questa memoria, non la eruttano, osservando questo periodo di avvento senza devozione e affezione, per una certa arida consuetudine. Infine, e questo è ancor più da condannare, la memoria di questa degnazione diventa per certuni occasione per la vita carnale (Gal 5, 13), e potresti vedere questi tali tanto solleciti in questi giorni per preparare vesti sontuose e cibi prelibati, come se queste cose cercasse Cristo venendo a nascere tra noi, e venga ricevuto in modo tanto più degno, quanto con maggior cura vengono preparate queste cose. Ma ascolta quello che dice lui: Chi ha occhi altezzosi e cuore superbo, con un tale non prendevo cibo (Sal 101 (100), 5). Perché con tanta ambizione prepari abiti per il mio Natale? Io detesto la superbia, non l’accolgo. Perché con tanta sollecitudine prepari vivande abbondanti per quell’occasione? Io condanno le delizie della carne, non le gradisco. Davvero il tuo cuore è insaziabile, mentre prepari tante cose, facendole venire anche da lontano, mentre per il corpo basterebbero poche cose, e quali si possono con più comodo trovare. Celebrando dunque il mio avvento, tu mi onori con le labbra, ma il tuo cuore è lontano da me (Mt 15, 8). Tu non rendi culto a me, ma il ventre è il tuo dio (Fil 3,19), e tu ti vanti di quello di cui dovresti vergognarti. Proprio infelice colui che cerca il piacere del corpo e la vanità della gloria secolare; beato invece il popolo il cui Dio è il Signore (Sal 144 (143), 15).

3. Fratelli, non adiratevi contro gli empi, né invidiate i malfattori (Sal 37 (36), 1). Considerate piuttosto qual è la loro fine (Sal 73 (72), 17), e compatiteli di cuore, e pregate per loro che sono trovati nel peccato (Gal 6, 1). Essi fanno così perché ignorano Dio (1 Cor 15, 34), perché se lo conoscessero, non avrebbero mai provocato stoltamente contro di sé il Signore della gloria (1 Cor 2, 8). Ma noi, dilettissimi, non abbiamo la scusa dell’ignoranza (Gv 15, 22). Voi lo conoscete bene, e se diceste che non lo conoscete, sareste, come i secolari, bugiardi (1 Gv 4, 20). Del resto, se non lo conoscete, chi vi ha condotti qui, o come vi siete venuti? (Mt 22, 12).
E come avresti potuto deciderti a rinunziare spontaneamente all’affetto delle persone care, ai piaceri del corpo, alle vanità del mondo, e gettare nel Signore ogni tuo pensiero (Sal 55 (54), 23) e ogni preoccupazione (1 Pt 5, 7), dal quale non meritavi nulla di bene, anzi, tanto male, come te lo dice la coscienza? Chi, ripeto, ti avrebbe persuaso a fare queste cose, se non avessi saputo che il Signore è buono per quelli che sperano in lui, per l’anima che lo cerca (Lam 3, 25), se non avessi conosciuto anche tu che dolce è il Signore e mite, molto misericordioso e verace? (Sal 86 (85), 5 e 15). E queste cose di dove le hai sapute, se non perché, non solo è venuto a te, ma in te?

4. Conosciamo infatti un triplice avvento del Signore: agli uomini, negli uomini, contro gli uomini. È venuto agli uomini, a tutti senza differenza; non così negli uomini e contro gli uomini. Ma siccome il primo e il terzo avvento sono conosciuti, in quanto manifesti, parliamo del secondo, che è spirituale e occulto. Di esso dice lo stesso Signore: Se qualcuno mi ama, metterà in pratica le mie parole, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui, e porremo la nostra dimora presso di lui (Gv 14, 23). Beato colui presso il quale porrai la tua dimora, o Signore Gesù. Beato colui nel quale la Sapienza si edifica una casa, tagliando sette colonne. Beata l’anima che è sede della sapienza. Chi è costei? Certo l’anima del giusto, e con ragione, perché giustizia e diritto sono la base del tuo trono (Sal 89 (88), 15). Chi di voi, fratelli, desidera preparare a Cristo una sede nell’anima sua (Sal 132 (131), 17)? Ecco quali drappi di seta, quali tappeti, quale cuscino bisogna preparare: La giustizia, dice, e il diritto sono la base del tuo trono (Sal 89 (88), 15). La giustizia è quella virtù per cui si dà ad ognuno il suo. Dà dunque il loro a tre categorie di persone: rendi quel che devi al Superiore, all’inferiore, e a chi ti è pari, e tu celebrerai degnamente l’avvento di Cristo, preparando a lui una sede nella giustizia. Da’, dico, la riverenza al prelato e l’obbedienza, quella materiale dell’esecuzione e quella del cuore. Non basta infatti obbedire esternamente ai nostri Superiori; dobbiamo anche dall’intimo affetto del cuore avere alto concetto di loro. E se la vita di qualche prelato fosse apertamente indegna talmente da non ammettere affatto dissimulazioni o scuse, in vista di Colui dal quale deriva ogni potestà, dobbiamo ugualmente aver riguardo al suo grado, anche se al momento lo vediamo così, non considerando i meriti presenti nella persona, ma in ossequio alla disposizione divina e dell’autorità inerente a quell’ufficio.

5. Così siamo debitori di consiglio e di aiuto anche ai nostri fratelli per lo stesso diritto di fratellanza e di umana società. Noi esigiamo infatti che ci vengano usati da loro gli stessi servizi: il consiglio, onde istruire la nostra ignoranza, l’aiuto per soccorrere la nostra infermità. Ma ci sarà forse tra voi qualcuno che obbietta in cuor suo: «Quale consiglio potrò dare al fratello, al quale non posso, senza permesso, rivolgere neanche una parola? Quale aiuto dare, quando non è lecito fare la minima cosa senza l’obbedienza?». Io rispondo: Non mancherà certamente l’occasione di fare, purché solo non manchi la carità fraterna. Penso che non ci sia un consiglio migliore che insegnare con l’esempio al tuo fratello ciò che bisogna e ciò che non bisogna fare, incitandolo a far meglio, e consigliandolo non con parole e con la lingua, ma con i fatti e in verità (1 Gv 3, 18). E vi è forse un aiuto più utile e più efficace che il pregare devotamente per lui, che non tralasciare di fargli notare le sue mancanze, di modo che non solo non gli dia motivo di inciampo, ma per quanto puoi cerchi di togliere gli scandali dal Regno di Dio (Mt 13, 41), come un angelo di pace (Is 33, 7), e di rimuovere del tutto le occasioni di scandalo? Se ti dimostri un tale consigliere e collaboratore, tu gli rendi quanto gli devi (Mt 18, 28), ed egli non ha più ragione di lamentarsi.

6. Se poi sei superiore con dei sudditi, verso di essi sei debitore di una più grande sollecitudine. Anche il suddito esige da te custodia e disciplina: la custodia, perché possa evitare il peccato; la disciplina poi, affinché, se viene a mancare, la sua colpa non resti impunita. E se ti sembra di non avere sotto di te nessun fratello, hai sempre tuttavia sotto di te qualcuno verso il quale esercitare questa custodia e questa disciplina. Voglio dire il tuo corpo, che certamente è stato dato in custodia al tuo spirito. Devi a lui questa custodia, perché non regni in esso il peccato, né le tue membra diventino arma di iniquità (Rm 6, 12-13). Gli devi anche la disciplina, perché faccia degni frutti di penitenza (Lc 3, 8), perché sia mortificato e docilmente serva (1 Cor 9, 27). Sono vincolati da un debito molto più stretto e gravoso coloro che devono rendere conto di molte anime (Eb 13, 17). Che ne sarà di me, infelice? Dove mi rivolgerò se mi accadrà di essere stato negligente nel custodire un tale tesoro, questo così prezioso deposito (2 Tm 1, 14) che Cristo ha stimato più prezioso del suo sangue? Se avessi raccolto il sangue del Signore che gocciolava dalla croce, e fosse conservato presso di me in un vaso di vetro che spesso dovesse essere spostato, quale stato d’animo sarebbe stato il mio in questo maneggio così pericoloso? Ora è certo che io ho ricevuto un deposito che un mercante non sprovveduto, cioè la stessa Sapienza, ha pagato sborsando quel sangue. Ma inoltre io tengo questo tesoro in vasi di creta (2 Cor 4, 7), che corrono molto più facilmente il pericolo di rompersi che non vasi di vetro. E in verità, al cumulo delle sollecitudini, si aggiunge anche il peso del timore, dovendo conservare la mia coscienza e quella del prossimo che sono l’una e l’altra per me oscure. Entrambe sono un abisso imperscrutabile, l’una e l’altra sono per me una notte, e tuttavia si esige da me di custodirle entrambe, e mi si dice: Sentinella, che è stato questa notte, che è stato questa notte (Is 21, 11)? Né io posso dire con Caino: Sono forse io il custode del mio fratello? (Gen 4, 9). Ma devo invece confessare umilmente con il Profeta: Se il Signore non avrà custodito la città, invano veglia il suo custode (Sal 127 (126), 1). Sono scusabile solo quando, come ho detto, pratico insieme la custodia e la disciplina. Se dunque non mancheranno le prime quattro cose, la riverenza cioè e l’obbedienza verso i prelati, il consiglio e l’aiuto ai fratelli, cose che riguardano la giustizia, la Sapienza troverà una sede ben preparata (Sal 93 (92), 2; 103 (102), 19).

7. E forse queste sono le sei colonne che (la Sapienza) scolpisce nella casa che si è edificata (Pr 9, 1); e dobbiamo cercare la settima, se essa si degna di farcela conoscere. E che cosa ci impedisce, come abbiamo inteso significate le sei della giustizia (Sal 72 (71), 2), di vedere la settima nel diritto? Infatti, non la giustizia solamente, dice il salmo, ma la giustizia e il diritto sono la base del tuo trono (Sal 89 (88), 15). Invero, se diamo ai prelati, agli uguali e agli inferiori quanto loro spetta, a Dio non daremo nulla? Ma nessuno è in grado di rendere a lui quanto gli deve, avendoci egli elargito con estrema abbondanza la sua misericordia (Sal 33 (32), 22; 86 (85), 13), mentre noi lo abbiamo offeso con innumerevoli peccati, e siamo così fragili, anzi, siamo un nulla (Sal 16 (15), 2), ed egli invece è così perfetto e sufficiente a se stesso da non aver bisogno di tutti i nostri beni. Tuttavia ho sentito dire a uno, al quale Dio ha rivelato i segreti della sua sapienza (Sal 51 (50), 8), che il re glorioso ama il giudizio (Sal 99 (98), 4). Per quanto lo riguarda, egli non esige da noi nulla di più; purché confessiamo le nostre iniquità, ed egli ci giustificherà gratuitamente; perché trionfi la grazia (Rm 3, 24). Ama infatti l’anima che alla sua presenza e senza interruzione esamina e giudica se stessa (Sir 17, 16). E questo giudizio egli esige da noi, ma solo per il nostro bene, perché se ci saremo giudicati da noi stessi, non verremo affatto giudicati (1 Cor 11, 31). Per questo chi è sapiente non si fida di tutte le sue opere, le scruta, le esamina, giudica ogni cosa (1 Cor 2, 10; 2, 15). Rende infatti onore alla verità colui che riconosce lealmente e umilmente se stesso e le cose nello stato in cui sono di fronte alla verità. Senti infine più espressamente come da te, dopo la giustizia, si esiga il giudizio: Quando avrete fatto, dice, tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili (Lc 17, 10). Questa è veramente una degna preparazione di una sede al Signore (Sal 89 (88), 15), per quello che riguarda l’uomo, che cioè cerchi di osservare i suoi doveri di giustizia, e sempre si reputi indegno e servo inutile.